Non è bastato un anno di lavoro, né le relazioni depositate, né le cautele raccomandate. Gian Paolo Pelizzaro si è alzato e se n’è andato. E non in silenzio. Il giornalista e consulente della Commissione parlamentare che indaga sulla scomparsa di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori ha firmato un lungo j’accuse su Storia in Rete, in cui racconta perché ha deciso di lasciare tutto. E lo fa con nomi, sospetti e una parola che ricorre spesso: “talpa”. Una fuga di notizie dopo l’altra, documenti finiti nelle mani sbagliate e un uomo – Marco Fassoni Accetti – che, a detta di Pelizzaro, continua a orientare la narrazione pubblica come se fosse in un romanzo di spionaggio. “Dall’interno della Commissione una ‘talpa’ ha fatto trapelare informazioni scorrette sulle mie dimissioni”, scrive. Ma il motivo vero, dice, è ben più profondo. Tutto comincia a gennaio 2025. Pelizzaro aveva appena terminato il lavoro sul caso Accetti – il fotografo romano condannato per l’omicidio di José Garramon e autodenunciatosi per i rapimenti di Emanuela e Mirella. “Suggerimmo di procedere con grande cautela e rigore”, scrive, perché i racconti di Accetti sono tanti, contraddittori, in continua mutazione. E, soprattutto, mai verificati. “Per evitare di subire deviazioni sulla base di mere speculazioni, fake news e narrazioni inquinate.”


Ma quel metodo severo non è piaciuto. “Alla talpa dovette suonare sgradito, perché pochi giorni dopo già appariva la prima velenosa fuga di notizie sul caso Accetti.” Le informazioni, sostiene Pelizzaro, finirono dritte nelle mani del “collega” che da anni segue da vicino il fotografo. E da lì a lui. “Si è creato un corto circuito catastrofico. Accetti veniva informato in tempo reale su cosa stesse facendo la Commissione.” Il problema, però, non era solo la fuga di notizie. “Di fronte a un orientamento generale che aveva il sapore di una decisione già presa – ascoltare Accetti – mi ero permesso di ammonire tutti: questo soggetto ha ‘intortato’ anche magistrati esperti. Figuriamoci i membri della Commissione, spesso poco competenti sulla materia.” Da qui la rottura. “Su Accetti la Commissione si gioca la sua reputazione.” E su chi sia davvero Accetti, Pelizzaro ha idee precise. “Le sue versioni sono state analizzate per anni. L’esito è limpido: ha raccolto a destra e a manca, da fonti aperte, e ha costruito le sue storie.” E su quella vecchia leggenda che lo vorrebbe come l’“Amerikano” al telefono con casa Orlandi, taglia corto: “Si è cimentato a fare l’Alighiero Noschese del caso Orlandi”. Ma il punto, sottolinea, è un altro: non è solo il caso Accetti. È il clima interno, le crepe, le pressioni. “Quando si è verificato un altro episodio, altrettanto grave e inquietante, il vaso è traboccato. La misura era colma. Ho deciso di uscire, per non lasciare la mia firma sotto questa inchiesta parlamentare. Non voglio prestarmi a questo gioco al massacro della verità.” Il sipario si chiude con amarezza. “Saranno gli studiosi e gli storici del futuro a giudicare se l’inchiesta parlamentare venne svolta con il giusto metodo. Oppure venne inquinata.”

