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Coez, che ti lamenti
della musica in classifica,
benvenuto nel club del boomerismo

  • di Michele Monina Michele Monina

3 settembre 2022

Coez, che ti lamenti della musica in classifica, benvenuto nel club del boomerismo
Dopo la pubblicazione della classifica delle canzoni più trasmesse dalle radio italiane, Coez ha lanciato una polemica sui social. Il cantautore romano, tra i maggiori esponenti della scena indie, ha espresso in un post il proprio parere sulle canzoni più attuali, ricordando l'esplosione dell'indie-pop del 2016 e confrontandola con la musica di oggi: “Stiamo sbagliando noi qualcosa o non state capendo più un ca**o voi”. Corsi e ricorsi storici, si diceva un tempo, ma anche “chi la fa l’aspetti”…

di Michele Monina Michele Monina

Avevo distrattamente lasciato Coez con le farfalle nello stomaco e me lo ritrovo, di colpo, in un giorno di fine estate, con un paio di criceti che corrono freneticamente nella ruota, posizionata, incautamente, proprio nei suoi coglioni. Perché che a Coez, una delle massime incarnazioni dell’artista itPop, indie o come diavolo volete chiamare quel genere cantautorale leggerissimo che ha imperversato a lungo in vetta alle classifiche ormai cinque o sei anni fa, sconvolgendo i cuoricini di tanti post adolescenti, al momento stiano girando parecchio le palle è un fatto acclarato per sua stessa voce, la medesima che, appunto, ci parlava di “scuola di danza nello stomaco”, modo coatto e poetico e urbano e stradaiolo per parlare di quella sensazione un tempo indicata, appunto, con le farfalle, leggi alla voce “amore”. Cosa è successo? Niente di complicato, ci mancherebbe, semplicemente lo streaming, quello stesso streaming che aveva operato quella silenziosa, ahinoi molto poco silenziosa, specie per chi ha figli adolescenti in casa, adolescenti muniti di smartphone, artisti semisconosciuti che, in virtù di un potere dato di colpo in mano proprio a chi in quella mano impugnava un telefonino con su scaricato, spesso crackato, Spotify, di colpo scalzavano dalla vetta delle classifiche artisti noti, famosi, con budget stellari, dischi fatti in casa, nel tinello, indie, appunto, dove indie stava per indipendente, almeno inizialmente, ai tempi che furono di Dente e della sua cucina. Cioè, sei Zucchero, sei Eros, sei Laura Pausini, scegliete voi il nome, tanto quelli grossi sono tutti intercambiabili in questo discorso, e vedi che il disco su cui hai passato mesi, forse anni, spendendoci su budget stellari stanno giusto qualche scalino sotto quelli incisi da gente dai nomi improbabili, nomi ci città, spesso, di animali, anche, con album registrati in cantina, con un iPad, due amici, una chitarra con un solo effetto. Di colpo l’itPop, lo chiamerò convenzionalmente così solo perché già mi fa cagare ascoltarlo, figuriamoci il doverne parlare e il doverne parlare cercando di capire come chiamarlo, era diventato la musica, la sola musica. Al punto che molti dei big si sono rivolti a loro, i produttori dell’itPop, gli artisti, Dio mio perdoni, itPop, non fatemi star qui a elencare le collaborazioni incredibili dei vari Tommaso Paradiso, Matteo Cantaluppi, Federico Nardelli, volendo anche la parabola celestiale dell’ormai onnipresente Dardust, e vai di feat, vai di imbarazzanti, forse dovrei dire cringe, brani improbabilissimi, vai di declino.

Mainstream, Regardez moi, Superbattito, L’ultima festa, Polaroid, ci metto anche Faccio un casino, c’è stato un gran momento per la musica italiana, guardando la classifica mi chiedo se stiamo sbagliando noi qualcosa o non state capendo più un cazzo voi. 🤷🏻‍♂️

— Coez (@COEZMUSIC) September 1, 2022

Solo che poi Spotify, uso questo nome simbolico per dire streaming, come mia moglie mi dice, ricordati di comprare lo Scottex, anche se poi compro, che so, un Rotolone Regina, ha dato quel potere, il potere, direbbe Gep Gambardella, di rovinare le feste, in mano a bimbiminkia ancora più bimbiminkia, gente che non c’ha manco bisogno di un chitarrista con un effetto solo, fa tutto da sé, in casa, e quel che fa è veramente il grado ultimo di congiunzione tra la musica, Dio continui a perdonarmi, e la merda pura, parlo di quella roba che circola oggi, che non è trap, e non è rap, e non è boh, è un misto di quella roba lì e di pop, ma pop brutto, fatto male, e in questo l’indie ha delle colpe incredibili, perché ha preso il peggio di certi cantautori, penso a Venditti, penso a Umberto Tozzi, penso a Raf, e lo ha impoverito, complice proprio il dover far circolare quella musica in quel modo assurdo lì, col cellulare, col risultato che oggi, per dirla con Coez, sembra che il pubblico non ci capisca un cazzo.

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Raf e Umberto Tozzi

Perché, veniamo all’attualità, Coez ha le palle che girano, a causa dei criceti di cui sopra, e noi uomini, si sa, quando giù da basso il sangue vortica troppo tendiamo a perdere la testa e quindi a ragionare poco, così Coez, le palle girate, ha ben pensato di farcelo sapere, di farlo sapere urbi et orbi anche a chi, come me, di Coez e delle sue palle, per non dire della sua musica, non frega nulla. Come? Scrivendoci su un Tweet, roba da Boomer. Peggio, scrivendo un tweet da Boomerissimo su Twitter, roba che manco Berlusconi che irrompe su Tik Tok dando il benvenuto non si è capito bene a chi e dove. Il succo del suo tweet, che essendo un tweet non ha manco succo, è pura sintesi, è che solo una manciata di anni fa in classifica imperversava, questo il non detto, la musica bella, da Mainstream di Calcutta, anno del signore 2015, a Regardez Moi di Frah Quintale, 2017, da Superbattito di Gazzelle, sempre 2017, a L’ultima festa di Cosmo, 2016, arrivando a Polaroid, di Franco 126 e Carl Brave e il suo Faccio un casino, 2017, dimenticando certo qualcosina, penso appunto a Completamente Sold Out o Fuori campo, rispettivamente 2016 e 2014, dei Thegiornalisti, ma poteva infilarci anche Motta, faccio per dire, col suo La fine dei vent’anni, 2016, o i Canova, Giorgio Poi, Colapesce (so che ormai siamo abituati a pensarlo come una specie di comico in duo con Dimartino, ma tant’è), magari anche Lo stato sociale, e se lascio fuori i padri fondatori, cioè Brunori SaS e il già malamente citato Dente, per non dire del deus in machina, Niccolò Contessa, I Cani, è solo per stima, chiosando con un poco serafico, “c’è stato un gran momento per la musica italiana, guardando la classifica mi chiedo se stiamo sbagliando noi qualcosa o non state capendo più un cazzo voi”. Appunto.

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Calcutta

Sembra quasi che Coez, il medesimo che cinque o sei anni fa è tornato dopo un momento buio sulla scena, guidando in buona compagnia una sorta di rivolta dal basso, molto dal basso, sovvertendo quella che fino a quel momento era la prassi discografica, arrivi in vetta dopo aver fatto la gavetta nel momento in cui una major ti concede le sue attenzioni, favorendo il famoso colpo di reni che permette il salto in vetta, tutti indipendenti, indie appunto, di colpo si fosse accorto, buon ultimo, che quel giochino ora è esploso, e uno stocazzetto qualunque può sfornare una hit, si spera destinata a scomparire presto sotto strati e strati di amorevole cura del nostro subconscio, penso ovviamente a Shackerando di Rhove, ma sono tanti gli esempi simili, finendo in vetta alle classifiche, bye bye qualità e valore. Citando un grande classico, e no, non è certo l’Alan Moore di The Watchman, a sua volta grande classico, verrebbe da dire un sonoro “chi controlla i controllori”, sostituendo in questo caso la parola boomer, che ignoro se può essere traslata in verbo, e mettendo Coez nell’ingrato ruolo di neoboomer che lamenta la scarsa qualità della musica d’oggi rispetto quella dei bei tempi andati, i recentissimi tempi in cui era sua la musica nuova, quella che noi boomer d’antan indicavamo sotto la generica sigla di “musica demmerda”.

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Rhove

Corsi e ricorsi storici, si diceva un tempo, signora mia, si diceva tempi dopo, in quel di Voghera, ma anche “chi la fa l’aspetti”, volendo. Di fatto a subire tutto questo rimaniamo fondamentalmente noi, passati da un Coez a un Rhove, così, come niente fosse, tanti saluti alla musica di qualità. Succede se rincorri un successo effimero, collaborando con chi capita, puntando più alle playlist di Spotify, sempre lei, che a costruire un repertorio che possa rimanere nel tempo (anche a voi sarà capitato di ascoltare incautamente qualche canzone di questi figuri di fila provando la vertiginosa sensazione di credere di aver ascoltato un unico lagnoso brano dalla durata infinita, tanto suonano tutte simili a loro stesse). Resta da chiedersi se, e sottolineo se, ci sarà un giorno futuro in cui un Lazza, un Paky, uno Stocazzo, andrà su un qualche social a lamentarsi del fatto che i giovani non capiscono un cazzo perché non ci sono più loro in vetta alla classifica ma qualcun altro, e visto come i nomi citati usano i social provo davvero i brividibadibidi, come Re Julian. Nell’incertezza la sicumera con cui il loro pubblico, pubblico che ha voglia di divertirsi ma finisce spesso a farlo cantando o ascoltando canzoni senza futuro e depressissimissime, per dirla con Rancore, ci ripete in loop che “tanto tra dieci anni saremo tutti morti per il riscaldamento” sia in effetti un dato di fatto acclarato, saremo morti, è vero, ma almeno non dovremo continuare a ascoltare musica così infima.

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