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Doping? "Sinner come Toti", "Djokovic aberrante" e "la morte di Jannik": Travaglio, Gramellini e Porro scatenati sulla squalifica per il caso Clostebol del numero uno del tennis. Tutto bene sul pianeta stampa italiana?

  • di Jacopo Tona Jacopo Tona

19 febbraio 2025

Doping? "Sinner come Toti", "Djokovic aberrante" e "la morte di Jannik": Travaglio, Gramellini e Porro scatenati sulla squalifica per il caso Clostebol del numero uno del tennis. Tutto bene sul pianeta stampa italiana?
La stampa italiana fa a gara per chi dice la sua su Sinner. Gramellini smonta il ragionamento di Djokovic: più che cercare giustizia, sembra voler distribuire sfortuna. Il vero problema? L’eterna invidia umana. Porro invece critica il patteggiamento, mentre Travaglio ironizza con titoli di giornale e riferimenti alla politica. La morale: chi ci va sempre di mezzo?

di Jacopo Tona Jacopo Tona

Gramellini, sempre attivo quando c'è da parlare di Jannik Sinner, ha dedicato il suo caffè allle dichiarazioni di Djokovic. “Se ho capito bene, il sommo Djokovic pensa che Sinner sia innocente, ma poiché in passato erano stati puniti per doping altri innocenti, anche lui avrebbe dovuto essere trattato da colpevole. L’ingiustizia comune come unica forma di giustizia possibile.” Il classico caso del mal comune mezzo gaudio, un ragionamento che più che a un senso di giustizia assomiglia a una vendetta collettiva. Djokovic, in questo caso, sembra più interessato all’uguaglianza della sfortuna che alla giustizia in sé. “Un modo di pensare abbastanza aberrante, ma umanamente comprensibile, dato che tutti tendono a concepire la vita come un paragone continuo e la buona sorte altrui serve solo a rimarcare la propria sventura.” Gramellini coglie un punto essenziale: il risentimento nasce spesso dal confronto. Se il mondo dello sport fosse davvero equo, non dovrebbe contare chi è stato trattato ingiustamente ieri, ma chi viene trattato correttamente oggi. Invidia, in poche parole. “C’è un capitolo del Conte di Montecristo dove un uomo si avvia con rassegnata calma al patibolo, ma appena apprende che un altro condannato a morte (per delitti diversi, oltretutto) ha ottenuto la grazia, inveisce contro il destino che fino a un attimo prima aveva serenamente accettato. Perché lui sì e io no? Chi non l’ha mai pensato, almeno una volta. Il buon senso porterebbe a formulare il ragionamento opposto.” Un parallelo con il vittimismo di Djokovic, che più che chiedere equità per il passato sembra esigere un trattamento peggiore per gli altri nel presente, in questo caso Sinner. È il solito corto circuito umano: invece di migliorare il sistema, vogliamo che tutti soffrano allo stesso modo.

Jannik Sinner
Jannik Sinner
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Il ragionamento giusto, secondo Gramellini, porterebbe “A rallegrarsi che Sinner sia stato trattato con giustizia, così il suo caso farà da precedente. Ma essere contenti per il futuro non regala alcuna soddisfazione: non quanta ne dia recriminare sul passato.” Qui Gramellini tocca un nervo scoperto: la giustizia in prospettiva non appaga l’ego immediato. Il lamento è più appagante della speranza, perché richiede meno fiducia e meno lungimiranza. “Se proprio si vuole trovare un privilegio in Sinner, riguarda la sua possibilità di pagarsi il migliore avvocato su piazza. Ma è un rammarico che non riguarda certo Djokovic, né nessun altro milionario della racchetta. Se lo possono consentire, quel rammarico, solo coloro che non si possono consentire quell’avvocato”. Un colpo di racchetta che riporta il dibattito al principio di realtà: il vero privilegio non è di Sinner rispetto a Djokovic, ma entrambi rispetto a chi non ha i mezzi per difendersi davvero. Se di ingiustizie vogliamo parlare, meglio guardare a chi non ha mai avuto una chance, piuttosto che a chi si lamenta dall'alto dei suoi privilegi. E fin qui, nulla di strano. Ma Gramellini non è stato l'unico a commentare.

Novak Djokovic
Novak Djokovic

Anche Nicola Porro, nella sua Zuppa, è intervenuto sul caso: “La storia di Sinner è incredibile, io sono dell'idea che Sinner abbia fatto male a patteggiare. La considero come un’ammissione di colpa, anche se non è questo il patteggiamento, ma si deve combattere fino alla morte per le proprie idee. Certo, il rischio di Sinner è che la sua sarebbe stata una morte”. Marco Travaglio, invece, ritiene che Sinner sia “innocente a sua insaputa”, e argomenta la tesi semplicemente riprendendo i virgolettati dei giornali: “La scelta. Sinner patteggia con Wada 3 mesi. È riconosciuto che non voleva doparsi. Accetta di essere responsabile per lo staff” (Corriere della sera, 16.2). Il pareggio era rimasto l'unica soluzione (La Stampa, 16.2). Sinner patteggia 3 mesi. Ma è lui la vera vittima (Il Giornale, 16.2). Sinner colpevole di innocenza (Repubblica, 16.2)”. La conclusione non poteva che essere altrettanto in stile Travaglio: “Toti, è lei?”

Marco Travaglio
Marco Travaglio
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