Cinque ore e ventinove minuti, un solo punto di differenza, e la consapevolezza che il tennis post Big Three ha finalmente trovato i due nuovi protagonisti: Jannik Sinner e Carlos Alcaraz hanno trasformato la finale del Roland Garros in una sfida che va oltre lo sport e che, per Adriano Panatta, rappresenta un punto di svolta. Intervistato da Antonello Piroso per La Verità, il campione del 1976, vincitore di Roland Garros, Internazionali d’Italia e Coppa Davis, ha analizzato il confronto tra i due, parlato del momento del tennis italiano e ha commentato anche il caso Spalletti e il futuro della Nazionale. “Che splendido incontro. A memoria mia, non ricordo una partita altrettanto intensa, così combattuta, così incerta tanto da arrivare fino al super tie-break, la finale più lunga a Parigi, uno spettacolo di tensione emotiva, di carica nervosa, con un tale dispendio di energia. Pure per i telespettatori, perché alla fine, pur guardando il match dal divano di casa, mi sentivo stanco con loro”, ha detto Panatta. Citando Goran Ivanišević spiega che “diceva che i tuoi avversari sono cinque: il giudice di sedia, il pubblico, i raccattapalle, il campo e te stesso. E a chi gli domandava: e l’avversario, quello vero? Replicava: anche, ma lui è il meno”.

La partita tra Sinner e Alcaraz ha superato ogni limite fisico e mentale: “Quando una finale supera le quattro ore di gioco, diventa imprevedibile. Sulla terra rossa, quello è il limite oltre il quale un incontro diventa una maratona, un braccio di ferro in cui tutto si gioca sul punto più o in meno, sul centimetro al di qua o al di là della linea. Ha presente quello strepitoso monologo di Al Pacino in Ogni maledetta domenica? Alla fine, la differenza tra vittoria e sconfitta è data dalla somma dei centimetri guadagnati o persi, uno alla volta, sputando l’anima. Guardi che, se si vanno a guardare i numeri del match, Sinner ha addirittura fatto un punto in più dello spagnolo, 193 a 192. Ciò nonostante, gliene è mancato comunque uno, uno soltanto, quello decisivo, l’ultimo”. Quello che comunque ci ha regalato questa finale è la conferma che il tennis ha trovato (e confermato) i suoi nuovi leader. “Così come c’è stata l’epopea delle sfide tra Djokovic, Roger Federer e Rafa Nadal, adesso si è aperta l’era di Jannik e Carlito, i due diòscuri, i mitici figli di Zeus”.

Due personalità opposte, ma complementari: “Alcaraz è un mediterraneo sanguigno, che risulta più empatico rispetto a un Sinner, che è un ragazzo eccezionale per l’aplomb, l’educazione e lo stile come persona, ma che è molto più controllato, ma non per questo meno apprezzato. Stiamo parlando di due fenomeni, che ieri hanno onorato al loro meglio il tennis e lo sport”. Lo straordinario fairplay tra i due è stato totale anche nei momenti più tesi: “Hanno mostrato rispetto per l’avversario perfino quando ci sono state palle su cui altri avrebbero discusso. Loro due no, pronti a riconoscere il punto dell’altro. Chapeau, come dicono i francesi”. Sulla lettura tecnica, Panatta conferma quanto detto in passato: “Se Alcaraz gioca al 100% diventa molto difficile batterlo, anche per Sinner. Ha più soluzioni di gioco ma Jannik in tutto quello che fa (che è tantissimo, attenzione) è talmente perfetto che Carlos, per batterlo, deve giocare oltre il normale”. A chi già parla di un Sinner “diverso” dopo lo stop per il caso Clostebol, Panatta risponde a modo suo (ovvero con poca diplomazia): “E chi la dice ’sta frescaccia? I tuttologi dei social, gli esperti che passano dal discettare di medicina durante il Covid al disquisire di geopolitica sui drammatici scenari di guerra, dall’Ucraina alla Palestina? Se a domandarselo sono loro, direi che non c’è da preoccuparsi. E sa perché? Vorrei fosse chiaro che, al di là dell’umana delusione per la sconfitta di domenica, Sinner ha comunque realizzato un’impresa che ha dell’incredibile, perché alla finale è arrivato con appena una dozzina di partite dopo il suo rientro dai tre mesi di stop”.
Spazio anche a Lorenzo Musetti: “In Francia ha dimostrato di essere a pieno diritto nella top ten della classifica Atp, sul rosso uno dei primi quattro tennisti, e chissà come sarebbe finito il duello con Alcaraz se non lo avesse fermato l’infortunio. È arrivato un po’ stanco, dopo Montecarlo, Madrid e Roma, ma se l’è giocata, e nei primi due set ha mostrato di essere a un niente dall’avversario”.

Poi il passaggio sul calcio. Il giorno della finale di Sinner è arrivata anche la notizia dell’addio di Luciano Spalletti alla Nazionale. Panatta non si concentra tanto sulla decisione in sé, quanto sul metodo: “Ma dico io: come si può gestire in modo tanto offensivo un passaggio del genere? Comunicando l’esonero all’interessato prima della conferenza stampa sulla partita della Nazionale contro la Moldavia (costringendolo a dichiararlo lui stesso ai giornalisti per non dar luogo a una pantomima, rappresentare gli azzurri sapendo di non essere più il Ct), arrivando al capolavoro di mandarlo in panchina da licenziato. Non si poteva affrontare un passaggio così delicato con maggior rispetto per le persone e la loro storia?” A chi gli ricorda che Ranieri ha indicato Gian Piero Gasperini come possibile allenatore della Roma, applaude la decisione: “Mi pare una gran bella scelta. Dicono sia un po’ ruvido, ma sa qual è il luogo comune: tutte le persone di carattere hanno un cattivo carattere. E poi a me i cosiddetti, presunti ‘antipatici’ stanno simpatici, che le devo dire? Li preferisco ai finti mansueti, quelli che sono amici di tutti, e quindi di nessuno”.
